Eurasia on “l’isola della Musica Italiana”!

L’anno 2017 pare essere davvero quello buono perché, del “Canterbury Sound”, quello che va dalla fine degli anni ’60 a poco dopo la metà degli anni ‘70, hanno cominciato a (ri)parlarne ed a scriverne in parecchi, anche e soprattutto persone che all’epoca non erano neppure nate. Ed allora i piemontesi Eurasia, nati dalle ceneri dei Cometa Rossa, decidono di debuttare con un lavoro, Ilmondoarovescio che, non solo si muove in ambito prog ma, soprattutto, anche grazie alla eterogeneità delle singole esperienze precedenti, va a ripescare proprio quella fusion(e) fra prog, folk e jazz che fece di quel periodo uno dei più fecondi, ed in prospettiva durevoli, nell’ambito del rock britannico.

Sin dalle prime note dell’omonima title-track si capisce chiaramente che il sound degli Eurasia arriva da lontano e lo si capisce soprattutto dal fatto che arrangiamenti, soluzioni timbriche, scelte stilistiche, provengono senza alcun dubbio non tanto e non solo da quel periodo, ma da quel modo di “lavorare la musica”, di costruire i brani, di studiarne lo sviluppo e ragionare sui contenuti.

Altro aspetto interessante è il fatto che gli Eurasia si allontanano dalle direttrici più classiche, ovvero il prog “sinfonico”, quello in cui le tastiere dominano, e purtroppo spesso omogeneizzano il suono, ma anche il progressive “italiano” più conosciuto ed a suo modo tradizionale: ci sono, invece, elementi hard rock, metal, uniti a passaggi fusion, soprattutto in brani che potrebbero tranquillamente stare in piedi anche senza il cantato ed ai quali il cantato stesso offre, però, una serie di interessanti e spesso curiose soluzioni. Altro aspetto interessante è il fatto che i brani non si rivelano mai come una serie di parti soliste assemblate, seppur con perizia; anche in questo caso gli aspetti jazz e fusion vengono in un certo senso “piegati”, ed adattati, alle necessità di un suono più totale, equilibrato ed omogeneo.

Ilmondoarovescio è cantato in italiano, scelta che in questi ambiti non sempre permette di ottenere un risultato ottimale; in questo caso funziona, e funziona bene, in parte per le notevoli doti interpretative di Moreno Delsignore, in parte perché, sempre strizzando l’occhio a Canterbury e dintorni, la voce è stata “trattata” come uno degli strumenti musicali utilizzati. Non si è cercato di adattare il testo alla musica, evitando quindi le ovvie forzature stilistiche e verbali, né si è voluto modellare la parte strumentale al testo, facendo sì che il suono risulti sempre fluido e non abbia mai bisogno di “arrampicarsi” o di compiere particolari evoluzioni per riuscire a “stare dentro” una strofa, una rima, una metrica.

Chitarre molto spesso “Holdsworthiane”, batteria e basso che, davvero, lavorano con un approccio profondamente legato a quello del periodo di riferimento, portandosi dietro la band con piglio sicuro e tanta fantasia, tastiere e piano che spuntano, poi spariscono, poi saltano fuori ancora senza riempire spazi, ma creandone di propri. Ciò che fa davvero la differenza in questo lavoro sono proprio il metodo, l’approccio, il “come” piuttosto che il “cosa”: quando le idee ci sono e le capacità tecniche sono palesi, tutto sta nel sapere esattamente come metterle in pratica e gli Eurasia, quanto a cosa fare e come farlo, ne sanno, e parecchio.

Andrea ROMEO

 

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